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Il mio viaggio nella storia del cinema: dal 1960 al 1964

Sono quasi al termine della mia carrellata nella storia del cinema, perché attualmente mi sto godendo la visione dei film del 1969, nice, e ne avrò certo per 2 mesi. Quindi col prossimo post mi metto in pari, ma intanto ecco qualche spunto per questi 5 bellissimi anni di cinema che sono la prima metà degli anni '60.
1960
Di quest’anno ho visto 275 titoli e ho dato almeno un 8 a 47 film, è un grande anno di cinema ma ne segnalo giusto 5, e tutti italiani! E per complicarmi la vita non parlo né della Dolce Vita, né dell’Avventura, né di Sordi e nemmeno della Ciociara. Mi sono piaciuti? Certo che sì, perché a qualcuno no?
Era notte a Roma” di Rossellini mi piace tantissimo. Intanto è il mio film preferito con Giovanna Ralli, che prima della Ferilli c’era lei, e poi c’è Leo Genn (Petronio di Quo Vadis?), il mio beniamino Renato Salvatori e in un ruolo commovente il russo Sergey Bondarchuk, il quale tra l’altro nel 1959 aveva diretto e interpretato l’intenso e ottimo “Il destino di un uomo”. Torniamo alla Ralli che in piena WWII vive in una casa all’ultimo piano di un palazzo ed escogita gli espedienti del caso per portare a casa un po’ di zucchero, del vino o della pasta. Siccome è sveglia, i partigiani la scelgono per ospitare in gran segreto tre soldati alleati su in soffitta. La Ralli si ribella ma alla fine fa il suo dovere, e i 3 sono al sicuro. Per accedere al soffitto c’è un passaggio segreto dietro l’armadio (Anna Frank mi viene in mente), e i 3 diventano amici tra loro e amici suoi. Ora però il problema è che siamo in guerra e che è un film di Rossellini, non di Walt Disney. Quindi tenetevi pronti.
Adua e le compagne” invece è un gran cast al femminile capitanato da Simone Signoret con il buon supporto di Emmanuelle Riva e Sandra Milo. Molto prima di “Ciro! Ciro!” la Milo era attrice di culto degli anni ’60, e non solo in mano a Fellini. In quest’anno per esempio è accanto a Lino Ventura in “Asfalto che scotta”, per dire. Certo è la Milo, la voce è quella, la figura è quella, la verve anche. Qui hanno da poco chiuso le case chiuse e sfrattato le Signorine che le popolavano. Signoret decide quindi di mettersi in affari e avviare una trattoria in un casolare di periferia insieme alle amiche. Faranno a turno in cucina e ai tavoli, e magari se qualche cliente vuole qualche massaggio, perché no? L’idea funziona e la trattoria va bene, ma le amiche cominciano a voler cambiare vita, o si rendono conto che in realtà non possono. Ci sono quindi 4 reazioni diverse causate dagli eventi che si susseguono. È un film in cui si sorride e che ti dà un po’ di malinconia, ma si sente l’odore di frittata, di cipolla, di basilico.
Dolci inganni” di Lattuada è il primo film che ho visto con Catherine Spaak. Per me la Spaak era una presentatrice tv. Da ragazzo guardavo Harem, o anche Forum quando lo presentava lei. Sì, sapevo che aveva recitato, ma non ci avevo mai fatto caso veramente, mi aspettavo un paio di film senza pretese. Invece, anno dopo anno nel mio percorso cronologico mi accorgo che nella prima metà degli anni ’60 la Spaak aveva i ruoli migliori, era bellissima, brava e tra le attrici più famose. È stata una rivelazione per me. Teniamo presente che la Spaak aveva nel 1960 solo 15 anni. Era bravissima! Per l’età che aveva spesso aveva parti alla Lolita. Qui ad esempio è attratta da un amico di famiglia che ha quasi 40 anni. La Spaak era seducente, fresca, intrigante. Gran sorriso. Questo film e anche altri successivi mi sono parsi modernissimi: la settimana prima vedi le attrici americane con le gonne a campana e il filo di perle del dado Knorr, la settimana dopo c’è la Spaak che flirta con un architetto. Magnifica.
La maschera del demonio” è uno dei film del filone italiano horror. Quando leggo horror penso al sangue e alla motosega elettrica, quindi non faccio una faccia contenta, mi stufo. Però a fine anni ’50 si attiva questo piccolo genere in cui emergono mostri e vampiri che in breve si afferma e crea uno stile invidiato ovunque. Sì, qui una donna viene uccisa con una maschera piena di chiodi acuminati, ma non devi metterti le mani davanti agli occhi perché fa troppo impressione. C’è il giusto bilanciamento tra suspence, storia, effetti speciali e ridicolaggine. Non sono film di livello A+ però sono veramente tipici di quest’epoca, ti fanno capire meglio di altri il gusto di chi andava al cinema in questi anni e per questo per me sono interessanti.
Rocco e i suoi fratelli” è un film che voglio rivedere, ma non so quando sarò pronto per rivederlo. Quest’impressione me la fanno pochi film, quelli che mi colpiscono così in profondità che devo prepararmi psicologicamente alla visione successiva, e anzi devo prima capire se voglio affrontarla. Schindler’s list, Se7en, Casino e Full Metal Jacket sono altri film che mi hanno fatto lo stesso effetto. Dunque qui abbiamo una famiglia di emigrati che va a vivere in un seminterrato a Milano. Sono tanti in poco spazio e si arrangiano. La matriarca è l’ottima Katina Paxinou che capisce e gestisce con pochi sguardi. I figli sono Rocco e i suoi fratelli. C’è qualcosa di buono in questi ragazzi, ma c’è anche la vita in agguato. Le strade che prendono sono forse prevedibili se vogliamo, ma questo le rende anche più tragiche. Una donna entra nella vita dei fratelli Alain Delon e Renato Salvatori. Ora, c’è una scena in cui Alain Delon è disteso sul letto, un po’ sbilenco, con lo sguardo rivolto verso la telecamera, e quella scena è indelebile nella mia memoria, è come se Visconti mi sussurrasse all’orecchio quello che vuole dire. Ma ovviamente il dramma che si consuma tra Salvatori e Girardot è ovviamente il cuore del film ed è la scena che non voglio mai più vedere, perché nel farlo perderebbe forse la carica di sorpresa, sgomento, emozione che mi ha trasmesso la prima volta e ci resterei male, o peggio ancora mi renderebbe ancora più sorpreso, sgomento ed emozionato della prima volta, e ci resterei secco.
1961
Di quest’anno ho visto 250 titoli, e 45 hanno preso almeno 8. Compresso tra due anni fantastici, il 1960 e il 1962, qui mi esalto meno, ma ci sta.
Madre Giovanna degli angeli” di Jerzy Kawalerowicz è uno di quei film che ti fa sentire figo e intellettuale già solo a pronunciare il nome del regista, ma il punto è che mentre scrivo queste righe ho in mente la scena della suora posseduta dal demonio che spalle al muro fronteggia il giovane sacerdote inviato nel convento a indagare, e capisco che quest’immagine così potente è scena da grandi film. Tutto il film è inquietante e malato, intanto sembra più vecchio di quello che è, pare realizzato negli anni ’40, il che secondo me aggiunge disagio alla visione. Però negli anni ’40 alcune scene sarebbero state solo abbozzate e il film avrebbe avuto un diverso impatto. Il prete scoprirà come mai il demonio ha preso possesso del convento?
L’anno scorso a Marienbad” di Alain Resnais è un film che non ci ho capito niente. Lo confesso. Tuttavia, mentre lo guardavo con estrema perplessità ne restavo ugualmente affascinato. Come un bimbo che è schifato da uno scarafaggio spiaccicato sul pavimento e però vuole vederlo ancora più da vicino, più passavano i minuti e più cercavo di capire dove voleva andare a parare Resnais, più mi arrendevo e mi lasciavo ipnotizzare. Alla fine non mi interessa se non ci ho capito niente, so solo che per un’ora e mezza sono stato preso e portato in un altro posto e ho visto qualcosa che non avevo mai visto prima. Per cui, mi è piaciuto.
La primavera romana della signora Stone” di José Quintero invece è un bel melodramma. C’è una signora che fa un viaggio a Roma e si imbatte in un giovane gigolò. Tutto qua ma attenzione: lei è Vivien Leigh e lui Warren Beatty. La Leigh aveva 50 anni mentre Beatty 25. Lei era una rosa conservata tra le pagine di un vecchio diario, lui è il rumore dell’acqua del mare sugli scogli; nello sguardo di lei ci sono tante risposte, quello di lui ti fa fare mille domande. Bellissima e tormentata la Leigh nel suo penultimo ruolo, bellissimo e spavaldo Beatty nel suo secondo ruolo: combinazione da non perdere.
I peplum andavano tanto a inizio anni ’60. Cinecittà era invasa da sandali, toghe, Circi e Meduse. L’epoca d’oro di questo genere è quella che va dal 1958 al 1963 circa. Per ogni Marvel di oggi c’erano 2 Ursus all’epoca. Sansone, Argonauti, Macisti contro Zorro e assurdità del genere. Grandi massi di polistirolo, matrone romane coi capelli stile Jackie Kennedy, ave Cesari e muscoli luccicanti, la gente adorava i peplum. Tante erano le star di questo genere che però non riuscirono a farsi un nome al di fuori. Tutto finì probabilmente con 2 film e cioè la Caduta dell’impero Romano, che fu un fiasco, e Cleopatra, che mandò il genere in burnout e dopo nessuno ne voleva più sentire parlare.
I musicarelli, a loro volta, erano un genere tipico degli anni ’60, In realtà si estendono più o meno dal 1958 al 1972, ma trovano l’apice coi vari Gianni Morandi, Rita Pavone, Caterina Caselli e Little Tony, quindi verso il 1964-67. Bisogna considerare che da Modugno in avanti i canzonettisti dei primi anni ’50 erano già surclassati. Andavano ora gli urlatori. Nasce una generazione di artisti fortunatissima, che in gran parte ancora oggi ha largo seguito, basti pensare a Mina, Vanoni, Celentano, che si affacciano volentieri al cinema di quegli anni. I musicarelli si somigliano: ci sono giovani protagonisti il cui amore è osteggiato dalle famiglie o giovani di talento che cercano di farsi strada nel mondo della canzone. Questi sono i temi. I primi musicarelli sono sequenze di canzoni intercalati da qualche scena con Nino Taranto onnipresente, i successivi sono un po’ più maturi e le canzoni sono più integrate con le storie. Per esempio quelli con Morandi sono così. Verso la fine degli anni ’60 c’era già invece un cambiamento nel gusto sia musicale sia proprio culturale, e si vede che il genere sta per arrivare al capolinea.
1962
Quanto mi piace quest’anno di cinema! Forse è il mio preferito di sempre? Ne ho visti 254 di titoli e ho dato almeno 8 a ben 81 titoli. Secondo me è perché non mi aspettavo che mi piacesse così tanto, provo a spiegare. Quando ero ragazzino io i protagonisti del cinema italiano di questi anni mi sembravano così vecchi e antiquati, che a prescindere io non li amavo e mi rifiutavo di vedere questi film. Sapete come succede coi ragazzi, per loro una moda di 3 mesi fa è archeologia. Quindi quando in tv uscivano Manfredi, Tognazzi, Gassman, Sordi, Mastroianni & co, sbruffavo e dicevo uff che palle e me ne andavo a giocare al Commodore64. Questa è la mia epoca. Ora, trascorsi 40 anni, fedele al mio proposito di guardare di tutto senza preconcetti e con gli occhi di chi vede per la prima volta questi film, resto sorpreso: siamo in un’epoca d’oro del cinema italiano e non solo: le città, le auto, gli abiti, i modi di dire, i gesti degli attori di tutti gli anni ‘60, mi riportano flash dei miei genitori, dei miei nonni, delle persone che vivevano negli anni prima che nascessi io. È come assaporare momenti di una vita che non hai potuto vivere, è bello! Queste cose di cui sto blaterando hanno senso solo a livello personale, certo, d’altra parte questa rassegna “è personale” e non ha la pretesa di indicare quanto oggettivamente di meglio sia uscito in questi anni. Tenuto a mente ciò ecco 5 titoli, giusto per non fare impazzire la scrollbar di chi legge. E lo so che non ho messo Sorpasso, Baby Jane, Antonioni, Kubrick, Frankenheimer e Gregory Peck.
L’angelo sterminatore” di Bunuel è sorprendente. Questo regista aveva iniziato molto tempo prima, 33 anni, col corto d’avanguardia “Un cane andaluso”, quello della lametta negli occhi per intenderci. La sua fase surrealista è importante però mi intriga meno. Dopo un lungo periodo di titoli passati in secondo piano, negli anni ’50 comincia a girare film tra virgolette più classici. Il Bunuel degli anni ’60 per me è a livelli eccezionali. Nell’angelo sterminatore c’è un ritrovo con molte persone che bevono e conversano e flirtano e si disprezzano a vicenda. Ogni volta che qualcuno prova a andar via cambia idea, o viene bloccato, o succede qualcosa di strano per cui non riesce. All’inizio nessuno ci fa caso, ma col passare delle ore inizia a montare l’ansia perché è chiaro che sono tutti intrappolati, come in una sorta di incantesimo. Man mano scarseggia il cibo, l’acqua, e la volontà cede: non riescono ad andar via, sono in gabbia, intrappolati. Il titolo, e il motivo per cui questo succede ognuno lo deve capire da solo.
Anna dei miracoli” non ha niente a che vedere con le aureole ma è la storia molto commovente di una ragazza con gravi disabilità e della sua maestra, che sono Patty Duke e Anne Bancroft. Mentre per tutti la ragazza non è che un caso umano da trattare praticamente solo col pietismo, per la Bancroft è un essere umano capace di comprendere e apprendere, che va educato e a cui bisogna dare delle regole per il suo bene. La sfida che ha davanti la Bancroft è tremenda, perché per ottenere pochissimi risultati ci vogliono settimane di lotte. Il film è una grande prova di attrici, entrambe spettacolari. C’è una lunghissima sequenza nella sala da pranzo, quando Patty Duke si rifiuta di mangiare in ordine e la Bancroft si ostina a insegnarle come fare, che ti lascia senza fiato.
L’uomo senza passato” è un film di un regista francese, Bourguignon, con un protagonista tedesco e cioé Hardy Krueger, e una ragazzina talentuosissima, Patricia Gozzi. Hardy è un veterano, che soffre di amnesia in seguito agli choc subiti in guerra, e vive una vita solitaria e malinconica. Un giorno incontra una ragazzina con la quale stringe un rapporto di amicizia. Lei è sola e ha bisogno di una figura paterna, lui è solo e ha bisogno di sentirsi utile e di voler bene a qualcuno. C’è tanta tenerezza in questo film, e malinconia. Per quanto solo a leggere di un’amicizia tra un veterano e una ragazzina molti subito possono pensare a risvolti poco piacevoli, qui non è mai in discussione l’eventualità che possa succedere qualcosa di male alla ragazzina. Kruger è un gran attore che rifiutò anche una nomination ai Golden Globe ai suoi tempi. La Gozzi a mio parere è tra le migliori baby star di sempre. Al suo attivo solo 6 film nei quali però è sempre formidabile.
L’odio esplode a Dallas” è un film di Roger Corman con William Shatner prima che finisse sull’Enterprise. Shatner non è mai stato uno di quei attori per cui ci si strappa i capelli, ma è bello vederlo in un ruolo diverso da quello a cui siamo abituati. Questo film è bello perché ti sorprende, siamo dopo tutto in piena fase di integrazione razziale, che nonostante Rosa Parks o MLK era ben lungi dal verificarsi compiutamente. Questo film ti mostra un lato del razzismo violento e intenso con gli occhi dell’epoca, senza voler fare troppe morali o senza intenti puramente educativi. Qui c’è l’odio razziale, le croci che bruciano, le scuole per soli bianchi, l’incitazione alla violenza. È un film avanti per i suoi tempi.
Il lungo viaggio verso la notte” è un’opera teatrale trasportata al cinema per la gioia di Katharine Hepburn che così poteva avere per le mani pane per i suoi denti. I personaggi sono solo 4, una famiglia che si ritrova e che si rinfaccia le cose, si racconta le cose, si scopre, si allontana e si riavvicina. È uno di quei drammoni familiari in cui quando un personaggio dice qualcosa per ferire gli altri, ti tiri i piedi dall’imbarazzo. Si segue naturalmente volentieri perché i 4 attori sono tutti di primo livello. Oltre alla Hepburn c’è il veterano Ralph Richardson, c’è Jason Robards e c’è Dean Stockwell che era una baby star a fine anni ’40 e che è riuscito ad avere una lunghissima carriera. Nei primi anni ’60 Stockwell sembra quasi il fratello minore di James Dean. Pare che sul set facesse freddissimo per cui Stockwell si aiutava con l’alcool, al che la Hepburn era indignata, ma quando lo venne a sapere gli regalò una coperta.
1963
Sono ben 289 i titoli che ho visto, con 57 a cui ho dato almeno 8. I miei preferiti in assoluto sono 8 e mezzo e gli Uccelli di Hitchcock, ma scrivo 2 righe su altro.
Blow job” di Andy Warhol è una specie di documentario in cui vediamo il volto di un ragazzo e le espressioni che fa mentre fa sesso. I film di Andy Warhol per me sono veramente dei relitti di altri tempi. Certo negli anni ’60 Warhol era uno degli artisti di prima categoria, ma se parliamo dei suoi film e dei suoi documentari, non dei dipinti allora scusate un attimo. Ne ho visti un sacco e sinceramente non me ne importa niente se faccio la figura di chi non ha gusto o e non ne capisce, ma li trovo orribili, una lotta testa a testa con quelli di John Lennon e Yoko Ono, se è per questo. Mi volevo togliere lo sfizio di dirlo.
Il servo” di Losey, invece qui si ragiona, c’è Dirk Bogarde che entra a servizio nella casa di una coppia che ha i suoi alti e bassi. “Sì signore, certo signore, come desidera signore”. Col tempo, studiata bene la situazione e i caratteri dei padroni le cose cominciano a cambiare. “Se proprio crede signore, come meglio crede signore, appena riesco signore”. Più la coppia scoppia più Bogarde inizia ad avere la meglio nel suo braccio di ferro psicologico col padrone e i ruoli fatalmente si invertono. Bogarde si mette bello comodo in poltrona, e che sia il padrone a mettergli le pantofole, adesso. Questo personaggio è rimasto come forse il più memorabile dell’attore inglese prima della fase Visconti.
La ballata del boia” di Berlanga è il film che mi ha fatto dire “ok mi piace Nino Manfredi”. Per me fino a qualche anno fa era solo Mastro Geppetto, non è colpa mia. Invece negli anni ’60 Manfredi incarna l’uomo medio italiano meglio di chiunque altro. Tognazzi era uomo virile e dai grandi appetiti, Gassman era esuberante e pieno di cazzimma, Mastroianni era sensuale e fatalista, invece i ruoli di Manfredi erano quelli di persone che subiscono gli eventi, che subiscono il rapporto di coppia, che devono ingegnarsi per venire a capo delle cose. Era possibile immedesimarsi in Manfredi. In più era dotato di grande talento comico, anche nei ruoli tragici bastavano due espressioni per farti sorridere anche quando gli capitava di tutto, come in questo caso, in cui sposa una giovane il cui padre è un boia e per tradizione tocca al figlio ereditare il mestiere del genitore, quindi da un giorno all’altro Manfredi ora deve svolgere le esecuzioni dei detenuti, anche se non ha il pelo sullo stomaco. Divertente.
I gigli del campo” è uno dei tanti film degli anni ’60 con Sidney Poitier che si afferma come icona culturale assoluta. Questa storia semplice vede Poitier giungere per caso nei pressi di un piccolo convento. La madre superiora convince Poitier a lavorare per loro, hanno intenzione di ristrutturare un po’, ma Poitier aveva ben altri programmi. Alla superiora non interessa un bel niente dei programmi di Poitier perché se è lì, vuol dire che Dio l’ha voluto lì. Ne vengono fuori tanti dialoghi divertenti, Poitier fa la sua espressione come per dire “che pazienza che ci vuole con questa”, la superiora Lilia Skala è bravissima e in tutto ciò Poitier si affeziona alle suore e trova anche il suo scopo nella vita.
Nella prima metà degli anni ’60 la tv era ormai nelle case di tutti gli italiani, i quali amavano gli sceneggiati, Canzonissima, Mike Bongiorno e il telegiornale. Abbondano i documentari che mostrano i vari aspetti dell’Italia del boom, un Italia ancora molto eterogenea ma per questo tanto interessante da raccontare. Si possono trovare in giro tanti documentari come “Fazzoletti di terra” in cui due contadini si costruiscono le loro terrazze per coltivare sollevando una a una delle grosse pietre a mano. Una vita passata a spezzarsi la schiena. Poi ci sono le interviste sui temi d’attualità ad esempio “In Italia si chiama amore”, e i docu geografici che mostrano le costruzioni di dighe, dei tralicci per la corrente, di sopraelevate e autostrade, che io trovo assolutamente affascinanti. Andavano poi i cosiddetti Mondo film, che erano documentari su temi scabrosi, in genere erotismo e pornografia (tipo “Mondo di notte”, ma affrontavano anche altri temi, per esempio era scioccante “Mondo cane”. Per quanto riguarda gli sceneggiati della prima metà degli anni ’60 vanno citati almeno “La cittadella”, “Il mulino del Po” e “una tragedia americana”.
1964
Il 1964 è un altro anno strabiliante per me. Ho visto 372 titoli tra film, corti, documentari, serie tv. Ho dato 8 o più a 65 di questi. Questo è l’anno della famiglia Addams e di Vita da Strega, è quello in cui parte la serie di Angelica e va di moda Sellers, Ursula Andress, Julie Andrews, Louis de Funes e Gianni Morandi. Bette Davis e Joan Crawford si dedicano al mystery con sfumature horror e diventano famose le sorelle Dorleac: una morirà giovanissima, l’altra ancora oggi è conosciuta in tutto il mondo come Catherine Deneuve. Antonioni gira il suo primo e bellissimo film a colori, Connery è alle prese con Goldfinger prima, con la Lollo e con Hitchcock poi, e la rana in Spagna gracida in campagna. Trionfo per i primi spaghetti western e per Leone, emerge la Sandrelli mentre in declino Doris Day. Classico dei classici per Loren-Mastroianni in “Matrimonio all’Italiana”. Insomma un anno di infinite squisitezze.
Seven up!” è un’idea molto interessante: si tratta di documentare la vita di alcuni ragazzi a distanza di 7 anni. Il primo documentario esce quindi nel 1964, il secondo poi nel 1970 (14 anni), poi 1977 (21), 1984 (28), 1991 (35), 1998 (42), 2005 (49), 2012 (56) e 2019 (63 up). Con la regia di Apted, attraverso le interviste vediamo cosa è successo nelle vite di queste persone.
La caccia” di Manoel de Oliveira regista portoghese morto a 106 anni, è un corto in cui due amici decidono appunto di andare a caccia, ma senza fucili, così niente di male può succedere. Quando si dice il caso: uno finisce nelle sabbie mobili, e sta all’altro amico escogitare il modo per salvarlo.
La donna di sabbia” di Hiroshi Teshigahara è un Thriller nel quale un entomologo va a caccia di insetti in una zona desertica e finisce in una fossa nella quale c’è una capanna con una donna, che trascorre la vita a spalare sabbia, come in un supplizio di Tantalo, ogni santo giorno, per evitare di essere sepolta. L’entomologo è stato intrappolato lì affinché possa contribuire al lavoro della donna e trascorrere con lei il resto della vita. Come un insetto in trappola, l’uomo cerca in tutti i modi di scappare.
“L’uomo del banco dei pegni” è un film di Lumet con Rod Steiger, due garanzie insomma. C’è un ebreo che lavora in un banco dei pegni. Trascorre la sua vita a valutare gli oggetti che gli porta la gente, privato ormai di ogni emozione. Il suo giovane commesso non è niente per lui, i suoi clienti non sono niente per lui. Osserva gli oggetti, li stima al ribasso, ci mette l’etichetta e così passa la giornata. C’è una donna che prova a mostrargli segnali d’affetto: non è niente per lui. Quest’uomo respira, ma non è vivo. Pare che fosse uno dei ruoli preferiti da Steiger, attore dalle scelte molto coraggiose che negli anni ’60 spesso lavora con registi italiani, anche in piccole produzioni. Il film è pieno di sentimenti da scavare in profondità, che esplodono con violenza nella parte finale.
Zorba il greco” è l’amicizia improbabile tra Anthony Quinn e Alan Bates. Quinn è Zorba, che non ha paura di niente e si butta a capofitto nella vita e nelle esperienze. A lui la gente piace, ci parla, ci ride e ci beve, si fa anche i fatti degli altri ma è generoso se serve, e comunque manda avanti la sua vita. È estroverso al 100% ed è un personaggio interessante interpretato magnificamente da Anthony Quinn, attore dalla lunga carriera. Alan Bates è gentile, preciso, riservato, discreto, riflessivo. Non si lancia, chiede permesso, è un tantino represso ma è un buon amico e una brava persona. Quinn adotta Bates e gli cambia la vita. Finiscono per conoscere una donna sola che è Lila Kedrova, che vive nel passsato. Mostra le gambe, si veste coi pizzi, finge una felicità che non possiede più, si comporta da adolescente. La Kedrova cerca ancora la vita e Quinn la accontenta. Questi personaggi così diversi raccontano una storia interessante. Memorabile la morte della Kedrova, con le vecchie del paese che vanno a saccheggiare la casa. Bates è uno degli attori più sottovalutati degli anni ’60 e ’70.
Un giorno di terrore” è il titolo italiano di “Lady in a cage”, che forse è meglio, si tratta di Olivia de Havilland, che è una scrittrice che ha avuto un incidente e quindi è costretta temporaneamente alla sedia a rotelle, quindi si muove nella sua bella casa grazie a un ascensore che la porta dal piano delle camere al soggiorno e alla cucina. Il figlio va via per il fine settimana, ma represso dalla madre ha propositi suicidi, ebbene Olivia resta sola in casa. Purtroppo per lei va via la corrente quando l’ascensore è a metà, e così resta sospesa. Salire non può, scendere non può, saltare nemmeno, arrampicarsi non se ne parla. Suona l’allarme, ma nessuno sente. Non esistevano mica gli smartphone, qui si rischia di restare in ascensore molto, molto a lungo. Succede quindi che un ubriacone entra in casa e sotto gli occhi impotenti della de Havilland pensa bene di accumulare un po’ di refurtiva. Non contento, va a chiamare altri suoi amici, più delinquenti e spregevoli che mai. Capitanati da James Caan, questi teppisti metteranno a ferro e fuoco la casa della de Havilland che guarda impotente quello che accade. Bellissimo e dimenticato titolo che vale la pena riscoprire in onore della mega star di recente morta alla bella età di 104 anni.
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Real Life Soap Opera - FINALE: La Peste a Milano

ep I, ep II, ep III, ep IV, ep V, ep VI, ep VII, ep VIII, ep IX, ep X,
mi piace il fatto che il setting di questo episodio sia ancora più manzoniano del solito. è un buon modo di chiudere. è anche forse più lungo degli altri episodi, come ogni finale di serie che si rispetti.
riassunto della puntata precedente: In seguito a una foto incautamente postata da Lucia, Don Rodrigo si è insospettito e ha costretto Lucia a confessare, almeno parzialmente, della sua tresca clandestina. Venuto a conoscenza del litigio tra i due, Renzo decide di interrompere i contatti con Lucia, la quale però lo invita ugualmente a un incontro della sinistra setta religiosa a cui appartiene. Spinto dalla curiosità, Renzo accetta.
Episodio XI: La Peste a Milano
Renzo e Lucia si sono dati appuntamento la domenica mattina in centro per andare insieme allo strano incontro mistico. Renzo attende con trepidazione il momento, in parte perchè è effettivamente molto curioso di vedere cosa succede in questo culto esotico, e in parte perchè è dell’idea di forzare le cose con Lucia per uscire, in un modo o nell’altro, da questa fastidiosa situazione indeterminata.
I piani di Renzo sono destinati ad essere stravolti da un avvenimento ben più grande delle sue beghe amorose: lo scoppio dell’epidemia di Coronavirus.
Il sabato Renzo è in montagna con un’amica e i loro telefoni non prendono per tutto il giorno. Mentre rientrano a Milano ricevono le prime allarmanti notizie dei contagi in Lombardia. Renzo ha dei problemi di salute pregressi piuttosto seri, e chiama quindi il suo medico per avere consiglio. Siamo ancora in un momento in cui poco si sa di questo virus e per questo motivo il medico, forse con eccesso di prudenza, ingiunge categoricamente a Renzo di non uscire di casa.
Renzo, oltre ad essere preoccupato per l’incombente fine della civiltà, è anche dispiaciuto di non poter andare alla messa satanica il giorno successivo, e chiama Lucia per avvisarla.
La ragazza non solo non prende sul serio le cose, ma si incazza pure accusando Renzo di essersi inventato una scusa per non andare. In realtà subito dopo poi capisce quanto le cose siano serie, anche perchè la setta annuncia ufficialmente che l’evento è annullato.
Come è stato per tutti, questa emergenza epocale ha stravolto i piani di vita di entrambi. Renzo sarebbe dovuto partire per l’estero proprio in quei giorni e stare via diversi mesi ma ovviamente è tutto annullato. Lucia, anche lei, sarebbe dovuta tornare temporaneamente negli USA dalla famiglia di lì a breve, una volta completate le pratiche della cittadinanza, ma è tutto rimandato a data da destinarsi.
Cala, progressivo ma inesorabile, il lockdown. Renzo comincia lentamente ad adattarsi alla triste vita solitaria dello smart worker recluso. Lucia, complice forse la noia, si fa sentire spessissimo ed è come sempre molto piacevole. I due si videochiamano anche diverse volte la sera, a lungo, per scherzare un po’ e tirarsi su di morale a vicenda.
Le scene dei due che, dalle loro tristi stanzette, si scambiano battute e sguardi amorosi attraverso il monitor del portatile sono accompagnate dalla voce di Sting in Every Breath You Take, che sembra scritta apposta.
Passano i giorni. La gente fa i flash mob sui balconi e i telegiornali riportano le prime tragiche immagini di feretri accatastati negli obitori degli ospediali. Il lockdown è totale.
Incurante di tutto ciò, Lucia è ancora una volta imprevedibile: Renzo, vorrei venirti a trovare.
Le obiezioni potrebbero essere mille. Renzo le chiede semplicemente, considerate tutte le regole e i decreti: come fai a venire da casa tua? abiti dall’altra parte della città. la risposta di Lucia è contemporaneamente delirante e inoppugnabile: con la metropolitana.
E così fa. Nei giorni più bui dell'epidemia, mentre i giornali riportano numeri impressionanti di morti e contagiati e i monumenti di tutto il mondo si illuminano del Tricolore, in totale barba a polizia, autocertificazioni e bollettini dello Spallanzani, una mattina qualsiasi Lucia prende bel bella la metropolitana e si fa tutta la città da parte a parte per andare a trovare Renzo.
Dal momento in cui lui le apre la porta di casa passano forse quaranta secondi prima che i due si lancino in una furiosa sessione di sfrenato sesso extraconiugale.
Inutile dire che Renzo si è completamente dimenticato di farsi dire cosa ne fosse stato di Don Rodrigo. Anzi, pensa che non sia cambiato niente tra quest’ultimo e Lucia e che i due siano ancora tecnicamente insieme, altrimenti lei le avrebbe detto qualcosa…
E così è. Un paio di giorni dopo, in piena notte, Lucia telefona a Renzo. è di nuovo in lacrime: ha di nuovo litigato con Don Rodrigo ma non si sa perchè. Dice a Renzo che non ne può più e che ha delle considerazioni importanti.
Uno, non tornerà negli USA per l’estate ma rimarrà in Italia. Due, appena finisce il lockdown si impegnerà per cercare lavoro a Milano. Tre, crede che la sua relazione con Don Rodrigo sia diventata sterile e inutile e sta pensando di mollarlo.
PUBBLICITA’ Il marketing ha impiegato meno di chiunque altro ad adattarsi al coronavirus e adesso le pubblicità sono tutte uguali.
“E’ già dal 1932 che noi di Brambilla&Figli siamo vicini agli italiani. In questi tempi difficili, quando tutti siamo lontani, vogliamo essere più vicini che mai a tutti voi, e per questo noi di Brambilla&Figli ci stiamo impegnando tantissimo per ripartire tutti insieme appena tutto sarà finito” il tutto accompagnato da gente che canta sui balconi, gente felice con la famiglia in case giganti che si videochiama, e un’infermiera piuttosto fica che sorride.
...Lucia sta pensando di mollare Don Rodrigo. Renzo si trattiene dal dirle che era ora che si svegliasse. Che ci sia voluta una tragedia mondiale epocale per farla rinsavire?
Sembra che tutto volga per il meglio per Renzo e Lucia. Due righe fa i due scopavano come ricci e adesso sembra che lei voglia mollare il fidanzato. Sembrerebbe proprio una di quelle storie d’amore che finiscono bene, dove tutti vivono felici e contenti.
Il colpo di scena finale sarebbe stato facilissimo: questo è l’ultimo episodio. ora spengo il portatile, che Lucia sta dormendo vicino a me e non voglio darle fastidio.
E invece no. La differenza tra le storie vere e quelle inventate è che quelle vere non finiscono con un crescendo di tensione e un colpo di scena finale in cui si risolve tutto. E questa è una storia vera.
Quello che succede è che la situazione già spiacevole del lockdown per Lucia diventa ancora peggiore: la ragazza comincia ad avere seri problemi economici perchè non può nemmeno fare quelle due lire che faceva prima ogni tanto con lavoretti occasionali e le sue misere riserve sono finite. Tutta la sua famiglia negli states non sta lavorando, anche loro causa Coronavirus. Le mandano quello che possono ma l’affitto a Milano è costoso.
Su consiglio di Renzo parla con il padrone di casa che è una persona molto disponibile e sarebbe disposto a non farla pagare del tutto, ma sia lei che la famiglia di lei non si sentono di dipendere così dalla generosità dell’anziano signore e alla fine si accordano per metà affitto.
Non è che stia letteralmente morendo di fame, però questa situazione la riempie di ansia e apprensione.
In più, l’Innominato sta dando fuori di matto. Minaccia continuamente Lucia di andare al comune e di spifferare all’Azzeccagarbugli che la ragazza non abita più da lei. Non si capisce perchè lo faccia, forse vuole dei soldi che comunque Lucia non ha, o forse è solo un continuare della sua personalità oppressiva, o forse ancora lo fa per effettiva paura del fatto che sta violando la legge? non si sa.
Se l’Innominato andasse davvero in comune a fare casino le conseguenze per Lucia potrebbero essere serie, non tanto per aver dichiarato una cosa non vera, ma perchè dovrebbe ricominciare tutto l’iter burocratico da zero nel nuovo comune di residenza, con annesse spese economiche, il problema di dover trovare un affitto regolare, e ulteriori mesi e mesi.
A un certo punto l’Innominato effettivamente va in comune e effettivamente denuncia che Lucia non vive più lì. Nero su bianco. In un paesino minuscolo tutti si conoscono, e l’Azzeccagarbugli sa quanto l’Innominato sia una persona orribile. Pertanto, chiama Lucia subito e si fa spiegare tutto.
Lucia chiama Renzo per avere un aiuto con la comunicazione e così i tre hanno una bizzarra comunicazione telefonica triangolare in cui una Lucia con la voce rotta spiega, attraverso Renzo, la sua storia all’impiegata del comune di Roccaminchiona.
L’azzeccagarbugli, intenerita dalla situazione, decide di nascondere il documento firmato dall’Innominato finchè le pratiche di Lucia non siano finite, ma non potrà farlo ad libitum. Quindi raccomanda di finire tutto con la massima fretta. il problema è che mezzo mondo è in lockdown e anche le ambasciate lavorano a rilento…
Lucia è una persona molto sociale, abituata ad andare in giro tutte le sere con gente varia, ridere e fare casino, e avrebbe avuto difficoltà ad adattarsi all’isolamento anche nel migliore dei casi. E’ anche chiaro a tutti ormai che non è esattamente la persona più emotivamente solida del mondo.
Le ansie economiche, la paura dell’Innominato, il traballare della lunga relazione con Don Rodrigo, l’altalenarsi dei sensi di colpa con Renzo, la solitudine del lockdown in un paese straniero dove si sentiva già sola in tempi migliori. Tutte queste cose si sommano l’una con l’altra and it wears her out. Lucia è triste, sola e molto depressa.
Lucia non chiama più Renzo nel mezzo della notte per raccontargli cosa ha sognato. Non gli invia più video di Trump per ridere delle cazzate che dice. Sono finite le videochiamate affettuose serali in cui le risate di Renzo facevano picchiare i vicini sul muro. Niente più foto in cui mostra orgogliosa a Renzo quale ricetta italiana ha impietosamente massacrato con impegno.
Quelle rare volte che si sentono parla con voce abbattuta e confessa di piangere in continuazione, di voler tornare a casa e di voler essere lasciata sola. Lui prova a tirarla su sparando un po’ di cazzate come ha sempre fatto ma non funziona più.
Quando invece è Renzo a farsi sentire lei risponde a monosillabi o non risponde affatto.
Da quando i due hanno cessato ogni contatto è passato un altro mese. Secondo le ultime informazioni Il master che Lucia voleva fare non si sa nemmeno se ci sarà, e difficilmente lei troverà lavoro per mantenersi mentre studia. Appena finite le pratiche e appena permesso dalle restrizioni al trasporto internazionale, Lucia tornerà a casa negli States, per rimanerci.
Schermo nero. la sigla finale è un blues lento, tristissimo. Fine
e io, –disse un giorno al suo moralista- cosa volete che abbia imparato? Io non sono andato a cercare i guai: son loro che sono venuti a cercar me. Quando non voleste dire, –aggiunse sorridendo– che il mio sproposito sia stato quello di volerle bene, e di legarmi a lei.
I guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c'è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.
La quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un pochino a chi l'ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto apposta…
The Police - Every Breath You Take
R.E.M. - It's the End of the world as we know it (and I feel fine)
Radiohead - Fake Plastic Trees
Daniel Norgren - Stuck in the Bones
submitted by slightly_mental to italy [link] [comments]

Erasmus alla Luiss da settembre

Salve!
Da settembre svolgerò un Erasmus a Roma alla Luiss. A dir la verità ne sono contentissimo e non vedo l'ora di vivere a Roma (anche se so che sara un casino su alcuni punti di vista ahah), vivere in Italia e imparare la lingua è sempre stato uno dei miei sogni da anni quindi che sarà una bellissima esperienza non ci piove, anche se il periodo sarà un po speciale diciamo.
Per approfittarne al massimo, vi scrivo per avere i vostri consigli.
1) Su la zona intorno all'universita. Non so se tutti i campus della LUISS si trovano nello stesso ambito ma io studierò nel campus di relazioni internazionali. Ci sono dei buoni locali (spero che la situazione legata al virus sarà ancora migliora tra due mesi) li vicino? La zona è piacevole? Ben collegata? Oppure dovrei assolutamente trovarmi un alloggiamento a due passi dal campus?
2) Per quanto riguarda appunto l'alloggiamento, in pratica, non ho ancora deciso se preferisco affittare un flat da solo (suppongo che sarà costoso), con coinquilini o addirittura trovare una host family. Correggetemi se mi sbaglio ma al parer mio non è molto comune in Italia il concetto di host family per studenti stranieri? Avete dei websites per quanto riguarda questo?
3) Insomma, mi piacerebbe praticare sia il mio italiano (lo imparo da un anno, quindi la strada è ancora lunga) che il mio inglese (la mia madrelingua è il francese) allo stesso tempo... è un piano ambizioso ma sono appassionato di lingue quindi ci stà! Quindi se potrei trovare una host family di expats dove si parla inglese sarebbe perfetto (l'italiano poi lo potrei praticare ogni volta che esco da casa). O un affitto con inquilini stranieri... O un affitto con studenti italiani e poi l'inglese praticarlo con altri studenti stranieri sul campus? Presumo che studenti stranieri alla LUISS ci siano un sacco? Come vedete, sono un po confuso ahaha.
Tutti consigli, informazioni, contatti, punti di riferimento sono i benvenuti!
Grazie & stay safe!
submitted by badabing1999 to italy [link] [comments]

Delle app di contact tracing

Riporto un mio articolo pubblicato qui. Lo riporto integralmente, quindi non avete motivo di cliccare se preferite di no :P
Partiamo subito dal punto: da tecnico, le prese per il culo “dai i dati a Facebook per sapere che verdura sei ma poi ti lamenti dello Stato che ti chiede i dati” sono una cosa che trovo penosamente ridicola. È uno di quei casi in cui si cerca di prendere in giro gli ignoranti dimostrandosi, su quell’argomento, ignoranti.
Provo, per quanto possa risultare spocchioso, a fare un minimo di chiarezza.

Di che parliamo, intanto

Parliamo di contact tracing, ovvero tracciamento dei contatti. Il contact tracing è una tecnologia (o una tecnica, dato che si fa anche tramite intervista “a mano”) che permette di sapere, in una qualche forma, con quali persone è stata “a contatto” una certa persona.

Ma quindi è la geolocalizzazione?

No. La prima cosa enorme da capire sul contact tracing è che non ha nulla a che fare con la geolocalizzazione, che è un’altra tecnologia con tutt’altro scopo. La geolocalizzazione è una tecnologia che serve a sapere, sempre in una qualche forma, dove sia stata una certa persona in un certo momento. Non è utile per il contact tracing, per almeno due motivi.
Il primo è che funziona decentemente solo a determinate condizioni, prima fra tutte l’essere all’aperto: non funziona negli edifici, non funziona in metropolitana, non funziona in certi veicoli, non funziona se il tempo è molto brutto.
Il secondo è che si basa sulla posizione geografica delle persone, e il fatto che due persone siano geograficamente vicine non significa che siano a contatto. Due persone a trenta centimetri tra loro ma con un muro in mezzo non sono a contatto, e questo con la geolocalizzazione non lo capisci. Due persone a zero centimetri tra loro su una mappa, ma una al primo piano e l’altra al ventesimo piano di un palazzo non sono a contatto, e anche questo con la geolocalizzazione non è banale saperlo (si potrebbe, ma che in un grattacielo l’altitudine sia accurata è improbabilissimo).

E allora come si fa?

Non c’è un modo davvero accuratissimo, in realtà, ma c’è un modo abbastanza accurato, che è l’utilizzo di Bluetooth Low Energy, un protocollo che normalmente serve a far comunicare il telefono con altri apparecchi, telefoni compresi, ma che ha un sistema per vedere quali dispositivi Bluetooth Low Energy si trovano nelle vicinanze. Avendo un raggio di scoperta molto piccolo (e regolabile, piú o meno), risolve entrambi i problemi esposti prima: non vede persone vicine ma con massicci ostacoli in mezzo, e non vede persone lontane come vicine.
Rispetto alla geolocalizzazione, si perde un’informazione: non si conosce dove fosse la persona. Si tratta però di un’informazione completamente inutile ai fini del tracciamento del contagio: mi interessa sapere con chi sei stato, dove foste è irrilevante.

E una volta “sentito” chi è vicino?

Ci sono due diverse scuole di pensiero su cosa fare dopo che il telefono di Anna ha scoperto che quello di Bruno è vicino.
La prima scuola di pensiero dice che il telefono di Anna debba dire a un server gestito da qualcuno “Ciao, sono l’app numero 123, ho appena incontrato da vicino l’app 456”. La seconda scuola di pensiero, invece, dice che tale informazione andrebbe salvata sul telefono.
Se Anna dovesse ammalarsi di COVID-19 e venire certificata come malata, “qualcuno” (possibilmente il sistema sanitario nazionale) dovrebbe “premere un pulsante” sull’app di Anna, che nel primo caso dirà al server “ehi, avvisa tutte le app con cui sono venuta a contato di mandare una notifica al loro utente!”, mentre nel secondo si occuperà lei di contattare tutti gli id che ha memorizzato e dirgli “ehi, manda una notifica al tuo utente”. Bruno, come tutti gli altri stati a contatto con Anna, si troverà sul telefono una notifica del tipo “Sei stato recentemente vicino a una persona che si è ammalata, chiuditi in casa e avvisa il sistema sanitario nazionale, che ti farà un tampone”.

Le problematiche

Ognuna delle due scuole di pensiero ha i suoi problemi. Nel primo caso, quello del server centrale, c’è un server centrale con tutti gli incroci di dati possibili. Non sono di banalissima interpretazione, ma forse se ne possono trarre piú informazioni del lecito, non ho le competenze per dirlo. Il secondo caso, quello con i dati sui telefoni, ha il piccolo grande punto debole del casino da fare per trasferire i dati in caso di cambio telefono.
Esiste poi un’altra problematica tecnica, risolvibile ma con cautela: i recenti sistemi di sicurezza dei telefoni, per motivi molto validi, non permettono a nessuna applicazione di tenere continuamente il Bluetooth in ricerca e visibile. Ovviamente si può chiedere ai produttori di fare uno strappo alla regola, ma non sempre possono (ci sono telefoni obsoleti) ed esistono buoni motivi per cui la regola esiste.
Infine, c’è una problematica di privacy: se l’app chiede qualsiasi cosa all’utente, dal nome ai dati sanitari, bisogna essere assolutamente sicuri che non comunichi tali dati al server, quantomeno senza un ottimo motivo, perché a quel punto sul server ci sarebbe l’informazione, del tutto inutile per le finalità del sistema, su chi è stato con chi. Non vedo motivi perché debba esserci.

Ok, ma tanto diamo tutto alle aziende private, perché non allo Stato?

Anche qui tocca procedere per punti.

Non diamo tutto alle aziende private

Intanto, no, non è vero, non diamo tutto alle aziende private. Diamo molte cose, è vero, spesso senza neanche accorgercene. Diamo la nostra posizione, diamo la lista dei nostri amici (non solo gli amici sui social, che valgono poco, ma anche le rubriche telefoniche), diamo alcune informazioni sui nostri gusti e sui nostri acquisti.
Non diamo però assolutamente a nessuno informazioni su ogni singola persona a cui siamo stati vicino. È un’informazione che al momento nessuno ha e che non esiste da nessuna parte. La creeremmo con quest’app, dando allo Stato (e, non è ancora escluso, ai privati che gestiscono l’app) un’informazione del tutto nuova su di noi.

Le aziende private hanno scopi diversi da quelli dello Stato

Le aziende private raccolgono i nostri dati per un fine ben specifico e molto remunerativo: vendere ad altre aziende la pubblicità. Non ci sono molte altre cose sensate che un’azienda possa fare (qualcuna c’è, ad esempio vendere valutazioni di rischio assicurativo e cose del genere, specialmente avendo dati sanitari) e nessuna include il perseguire persone per quello che fanno.
Lo Stato, invece, ha un certo interesse a controllare i cittadini.
Io sono di quelle persone che dello Stato italiano attuale si fidano abbastanza. Lo Stato però è una cosa che cambia nel tempo, e non sempre cambia in meglio. Dare allo Stato un accesso facile alle informazioni è una cosa molto pericolosa. Molte informazioni lo Stato può averle lo stesso, eventualmente dalle aziende private, ma con una certa fatica che non rende vantaggioso cercare di averle anche quando non è davvero importante averle. Rinunciare a questo paletto è un grosso passo, che si può benissimo non voler fare.

Le aziende private sono controllate

Sì, OK, fanno spesso quello che gli pare, ma fino a un certo punto. Le aziende private sottostanno a leggi, a organi di controllo degli Stati, e devono pagare spesso molto salato (in Europa salatissimo) se sbagliano. Se io utente di un loro servizio mi vedo fare un torto, ho tribunali a cui rivolgermi.
Lo Stato non funziona così, lo Stato le leggi se le fa. E dato che in Italia siamo tecnologicamente ignorantissimi e grandi amanti dell’uomo forte al potere, del legislatore non mi fiderei poi tanto. Se lo Stato dovesse usare i tuoi dati contro di te facendoti torto e si trovasse a farlo legalmente, non hai nessuno a cui puoi rivolgerti.

Caveat

Non sto dicendo, attenzione, in alcun modo che siano meglio le aziende private o meglio lo Stato. Posso preferire dare i mei dati per la pubblicità ma non rischiare domani di essere arrestato perché oggi ho partecipato a una manifestazione di un partito che sarà bandito domani, o posso fidarmi dello Stato ma non volere pubblicità basate su miei dati.
Essere d’accordo con dare dati a privati non è la stessa cosa che essere d’accordo con il darli allo Stato, e se a uno va bene una cosa non è affatto detto che gli debba andare bene pure l’altra in automatico.

Ma insomma Immuni te la scarichi o no?

Posto che con tutta probabilità l’app del governo italiano (ma anche tutte le altre) arriverà parecchio tardi perché sia utile — per fare le cose bene ci vuol tempo e il tempo non c’è — , la installerò certamente se risponde a due requisiti che ritengo importantissimi.
Primo, deve essere anonima, perché può esserlo. Ti serve poter notificare le persone a cui sono stato vicino, non ti serve né sapere chi sono (o forse sì, ma devi convincermi), né se soffro di *inserire malattia* (e qui no, non mi convinci, non ti serve).
Secondo, deve essere ispezionabile. Devo sapere cosa viene inviato davvero, se viene inviato qualcosa.
Mi sembrano due requisiti piuttosto semplici da rispettare. Qualcosa mi dice che invece…
Aggiornamento 23/4: e invece pare si torni all’idea di un sistema decentralizzato, con i dati sui telefoni e non online, perché posto come requisito tecnico per far tenere il Bluetooth acceso da parte di Apple e Google.
submitted by LBreda to italy [link] [comments]

Sono tornato da poco dall’Iraq da un reportage fotografico sul genocidio degli Yazidi e della loro più importante festa religiosa che non tenevano da 4 anni: AMA

Salve gente, son di nuovo qui, per la terza volta dal 2014, a tediarvi con le mie foto e reportage iracheni :-) Questa volta sono andato in Iraq, con l’obbiettivo di raggiungere Raqqa attraversando il nord Iraq (cosa che non è andata a buon fine, più avanti vi spiego il perchè) e di fare un reportage sugli Yazidi. Sul loro genocidio perpetrato dall’ISIS e sulla loro più importante festa, chiamata Cejna Cemaiya, che si è svolta per la prima volta in quattro anni (cioè da quando è iniziato il genocidio nel 2014). Vi spiego con ordine, la mia idea era quella di entrare in Iraq, prendere un amico/fixer e con lui andare a Raqqa in Siria, e tornando indietro di fare un reportage su Sinjar e sul famoso monte/zone dove si è perpetrato il genocidio. E infine fermarmi a questa festa yazida il 6 Ottobre (tra l’altro giorno del mio compleanno). È andato tutto come volevo, tranne l’ingresso in Siria, o meglio, l’uscita dall’Iraq. È successo tutto in modo molto strano, io sono entrato in Iraq dalla Turchia, dal Kurdistan Iracheno (che èuna regione indipendente dello stato Iracheno), con il visto kurdo/iracheno ma il giorno dopo il mio arrivo, quando stavamo andando verso Mosul, al primo checkpoint in uscita dal Kurdistan, un agente dei servizi iracheni mi ha bloccato e fotografato il mio passaporto e tessera di fotografo, imprendendomi di proseguire poiché sprovvisto di visto iracheno. Al che ho chiamato l’ambasciato Italia per chiedere informazioni su questa storia del visto iracheno e al telefono mi sono state dette queste parole “Mi dispiace ma visto i recenti dissidi tra il Kurdistan e l’Iraq, lei doveva richiedere il visto a Baghdad per uscire dal Kurdistan ed entrare in Iraq. Sono spiacente ma devo comunicarle che lei è-tra virgolette- prigioniero in Kurdistan”. Al che ho strabuzzato gli occhi e abbiamo deciso di provare ad uscire da un alto checkpoint. Mi sono nascosto/mimetizzato un pochino e siamo passati senza problemi. Direzione Mosul, come l’anno scorso. Con la differenza che l’anno scorso la città era stata liberata da ISIS pochi giorni prima ed era ancora zeppa di cecchini e trappole esplosive (vedi reportage). Quest’anno la città era totalmente cambiata e rinata! Pazzesco vedere dove prima c’erano 2 auto, adesso 200 auto e un mercato all’aperto. Son rimasto piacevolmente sorpreso, era tornata una città araba con tutto il suo totale casino. Solo la vecchia parte/centro storico è rimasto completamente distrutto. Attraversare quei 2/300km dal Kurdistan alla Siria è un’impresa perchè l’unica strada è massacrata, ogni 50/100 metri manca un pezzo o c’è un cratere perchè viene minata di continuo. Ad ogni modo siamo arrivati fino all’ultimo villaggio prima della Siria, dove il mio amico ha dei parenti e mi aspettavano con un pick-up per andare fino a Quamishli e poi cambiare auto con una targata siriana. Abbiamo anche fatto un visto dell’esercito yazida che controlla quei territori. Arrivati all’ultimo checkpoint prima di uscire dall’Iraq (non c’è più un confine ufficiale) la sorpresa: ci fermano e dicono di attendere degli ufficiali per dei controlli. Dopo un’ora nel deserto arriva uno squadrone di 4 Humvee e due pick-up da dove scendono dei figuri che facevano male solo a guardarli :-) l’ufficiale per fortuna parlava bene inglese e mi ha chiesto come diavolo avessi fatto ad arrivare fino lì senza visto iracheno e che non potevo andare oltre perchè se mi succedeva qualcosa, il governo italiano avrebbe ritenuto quello iracheno, il responsabile. Inoltre avrei potuto avere dei seri problemi a rientrare in Iraq dalla Siria, poiché ufficialmente non entrò mai entrato in Iraq senza visto. Del visto kurdo a loro non interessava nulla. “Loro sono iracheni, non curdi”. Pazzesco. Ho chiesto spiegazioni al mio amico e mi ha detto che si è tenuto un referendum per l’indipendenza del Kurdistan un mese prima, referendum vietato da Baghdad ma che i curdi hanno tenuto comunque. La ritorsione per aver tenuto questo referendum è stata la sottrazione di alcune aree sotto il controllo curdo. Tra cui Sinjar appunto. Infatti il mio amico era più sorpreso di me a vedere dei militari iracheni, quando fino a un paio di mesi prima, erano Peshmerga curdi.
Quando mi è stata detta la situazione ho rinunciato all’ingresso in Siria e ho proseguito il mio viaggio.
Sono andato sul monte di Sinjar che è li vicino e dove si è tenuto genocidio dell’ISIS verso gli Yazidi. Cosa è successo? Praticamente nel 2014 l’ISIS ha sfondato il confine siriano/iracheno entrando fino Mosul. E tutti i villaggi tra il confine e Mosul sono abitati prevalentemente da Yazidi. Quando l’ISIS entrava nei villaggi non faceva domande, non chiedeva di pagare una tassa (come faceva per i cristiani) ma uccideva tutti indiscriminatamente. Molte persone sono state messe in fila a gruppi di 50/100 e sparati. Per questo l’ONU parla di genocidio. C’era il preciso intento di eliminare una etnia, quella yazida. Le persone hanno incominciato a scappare a piedi, armate, rifugiandosi su questo monte che sovrastava e villaggi di Sinjar, sono salite 50.000 (50mila) persone su questa aspra montagna a 1600m slm. Da lì sopra, con le loro armi e con l’aiuto della coalizione internazionale, sono riusciti a respingere gli attacchi dell’ISIS per mesi. Il problema era che non riuscivano nemmeno a scendere perchè ISIS aveva circondato il monte, e ovviamente non riuscivano nemmeno a prendere acqua e cibo. Così sono morti a centinaia anche di fame.
La situazione è ancora molto drammatica, tanto che una ragazzina di sedicini anni si era impiccata/suicidata proprio mentre stavo passando io, a causa della situazione insostenibile (vedete foto della sciarpa nella tenda e delle persone intorno). Ovviamente adesso potrebbero tornare nei loro villaggi sotto la montagna ma quasi tutte le case sono andate distrutte a causa degli scontri per liberare da ISIS. Inoltre hanno ancora paura che cellule di ISIS possano tornare, sopratutto adesso che combattono a poche dozzine di chilometri di distanza.
Per quanto riguarda la festa religiosa yazida, è stata un’esperienza davvero mistica e intrigante. Ho avuto accesso a tutto poiché il mio contatto è la guardia del corpo del loro “papa”. L’unica cosa che mi è stata proibita è di fare foto durante le fasi più spiritiche del loro rito.un paio di foto le ho fatte comunque di nascosto, e soprattutto ho registrato l’audio, che non era proibito. Trovate tutto sulle pagine del reportage. Spiegazione incluse, anche Perchè Wikipedia spiega meglio di me :-) se avete qualche curiosità sono qui!
L’esperienza peggiore però è stata al confine turco uscendo dall Iraq ed entrando in Turchia. Invece del solito timbro alla “casetta” della polizia, mi hanno fatto entrare nel comando di polizia, fatto firmare qualcosa in turco, fatta una foto/schedatura a me con il mio passaporto aperto sotto il volto, fatto sbloccare il telefono con il mio volto (iPhone X), controllato tutti i messaggi e le foto e sopratutto hanno voluto controllare la mia timeline Facebook degli ultimi 3 anni. Non contenti hanno voluto chiamare il mio contatto in Iraq e mi hanno fatto mille storie per delle foto in bianco e nero di alcuni bambini a Diyarbakir, scattate gli anni precedenti, e di alcune foto fatte a Mosul con i militari iracheni (pensavano fossero dei terroristi dell’ISIS da come erano vestiti con teschi e bandane nere).
Bene, vi ho tediato anche troppo, son successe mille altre cose che non sto a scrivere adesso. Vi Lascio le pagine con le foto, leggete anche le didascalie (sono visibili passando il mouse in basso o tappando sul pallino in basso da mobile), perchè mostrano quello che vi ho scritto sopra :-)
Foto del genocidio yazida: https://www.giuliomagnifico.it/yazidi-genocide/
Foto del rito yazida Cejna Cemaiya: https://www.giuliomagnifico.it/yazidi-cejna-cemaiya/
Foto street dell’Iraq: https://www.giuliomagnifico.it/iraq-2018-street/
Foto di documentazione del viaggio: https://www.giuliomagnifico.it/iraq2018-trip-reportage/
Ovviamente tutte le pagine (escluse quelle dei video e delle foto di documentazione) sono Work In Progress. Mi mancano tantissime foto da sviluppare!
Se avete domande/curiosità/sopratutto critiche (che aiutano a migliorare) son qui!
PS: ho scritto di getto dal telefono, sarà pieno di errori, scusate in anticipo!
submitted by giuliomagnifico to italy [link] [comments]

ELI5 questo fastidio con il Trentino-Alto Adige? (un pò lunghetto...)

Premessa: sono un'immigrata che ha vissuto 8 anni in Italia e da quasi 10 abita in Austria. Non voglio darvi l'impressione di che a me me ne frega altamente di questo tema, è che io non lo capisco proprio.
.
Allora, da quel che so, ci sono 5 regioni a statuto speciale in Italia:
Alcune di loro bilingue, sennò trilingue (una volta Mr. Kika mi aveva chiesto perchè vicino a Trieste c'erano i cartelli stradali scritti in varie lingue diverse). Dappertutto in Italia, un grande attaccamento alle loro origini, lingua e tradizioni: cioè, dice la leggenda che in Sardegna loro si considerano prima sardi, poi italiani. Comunque, lo stesso succedeva sul Val Trebbia, per dire: una volta ho litigato con il ex-suocero perchè secondo lui il mio ipotetico figlio doveva prima imparare il dialetto piacentino e poi, dopo, ma mooooooolto dopo, l'italiano (no, non era ubriaco, mi pare).
Però in ogni caso, c'è questo astio nei riguardi del Trentino-Alto Adige. Non mi pare che sia solamente una questione di essere autonomi o meno - se così fosse, allora ci sarebbe la gente a lamentarsi pure del Friuli o della Sardegna, per dire. Non mi pare neppure che sia una questione di lingua, perchè sennò, allora ci sarebbero quelli a lamentarsi del Valle d'Aosta, ad esempio.
Inoltre, con l'avvento del EU, uno può andare e venire da tutto il Tirolo - c'è solo la bandierina che demarca la frontiera tra Austria e Italia, ma è lì solo per dire che c'è, mica ci sono i controlli. Se uno vuole parlare tedesco in Bolzano, lo parla, se uno vuole parlare Italiano a Vienna, lo fa pure (ci sono un casino di expats qui - l'altro giorno ho fatto conoscenza con una ragazza siciliana che ha una gelateria qui nel mio paese in Bassa Austria).
Quindi, non lo capisco proprio questo astio. Vi spiacerebbe ELI5?
Grazie a tutti.
submitted by I-Bin-A-Kika to italy [link] [comments]

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